Intervista a John Cage
(di Maurizio Comandini, Milano, 1977)

John Cage

Nel 1978 mi sono laureato al Dams di Bologna con una tesi intitolata: John Cage e Merce Cunningham / Musica Teatrale e Danza Americana – per un teatromusicale. Il relatore era Giampiero Cane. Il presidente della commissione di Laurea era Umberto Eco e nella commissione ricordo con piacere Roberto Leydi e altri illustri personaggi dell'epoca.
L’appendice del mio lavoro riportava una chiacchierata con John Cage che ebbi la fortuna di fare al termine del celebre concerto del Teatro Lirico di Milano che rappresentò una sorta di punto di rottura delle attività di quello che allora si chiamava semplicemente il Movimento.

Fortunatamente quella sera mi ero portato un arcaico registratore portatile a cassette e il nastro della mia conversazione con John Cage è tuttora gelosamente custodito nei miei archivi. Approfitto per ringraziare per l’assistenza l’amico Giovanni Carpano che non sento da tanti anni e che si era sorbito con me il lungo viaggio in treno da Cesena e tutto il macchinoso approccio a Cage che era iniziato già nel pomeriggio prima del concerto.

Quella che segue è la trascrizione dell’appendice come compare nelle pagine finali della mia tesi. Ho semplicemente fatto un lavoro di mini-editing riscoltando il nastro, ma sostanzialmente tutto rimane inalterato. Ovviamente al momento della stesura di quelle note l’importanza storica del concerto del Lirico non era ancora perfettamente chiara.


Maurizio Comandini – Cesena – 6 novembre 2007


p.s. L’incauto giornalista Rai citato in forma anonima nel testo è l’ineffabile Mario Marenco, una zanzara che ci perseguitò per tutta la serata. Anche a lui va tutta la mia simpatia. A Marè, te possino…




L'intervista che segue, con John Cage, ha avuto luogo nella notte tra il 2 e il 3 dicembre 1977, durante il dopo-concerto della performance di Cage stesso al Teatro Lirico di Milano.

Molto gentilmente Cage, che avevo contattato per pochi minuti nel pomeriggio, durante le prove, mi ha invitato a seguirlo al Frankestein, la discoteca à la page che gli organizzatori avevano malauguratamente scelto come luogo ideale per rilassarsi dopo la performance.

John Cage
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La registrazione della conversazione è così risultata, in vari punti, sovra-modulata dalla musica infernale che sovrastava imperterrita, per cui la trascrizione è qua e là lacunosa.

Vorrei ribadire l'estrema gentilezza di John Cage che, alle prese con il mio inglese macchinoso, si è sforzato di capire e di dare risposte intelligibili.

Anche a causa dell'ambiente, non proprio ideale, gli argomenti toccati si sono mantenuti al livello di scambio di informazioni sui rispettivi lavori, con predominanza, naturalmente, per quello di Cage.

(sullo sfondo un arrangiamento dance della musica di Star Wars uscito pochi mesi prima)



MC: Sono molto interessato al tuo lavoro con Merce Cunningham [sembrandomi il tuo lavoro osservabile globalmente dal punto di vista del theatrical involvement nelle arti]: A) la tua musica è musica teatrale; B) la situazione complessiva della tua musica e della danza di Merce è una situazione teatrale. Pensi che sia un buon punto di vista?
JC (mangiando riso integrale): ...Mi sembra un buon punto dal quale guardare le cose, e... invece che avere la musica che supporta la danza, o la danza che esprime la musica, noi coesistiamo.

MC: In che posizione ti poni rispetto alle altre strutture dell'azione teatrale, ad esempio le luci, l'ambientazione e così via, sono parti paritetiche del tutto?
JC: Sì, certo, soprattutto le luci, ma in questi ultimi tempi non credo più che le luci siano una parte attiva, quanto la danza e il suono, per questa ragione: uno vuole vedere la danza, e se le luci ricoprono una parte vitale, ci sono dei momenti in cui non è possibile vedere, così la tendenza è stata quella di considerare le luci non come parte a sè, ma come parte di utilità. Per avere la possibilità di vedere la danza.

MC: Mi sembra che ci siano delle fasi ben precise nella tua lunga collaborazione con Cunningham. Fino al 1952 potremmo chiamarla fase 'classica', nell'avanguardia s’intende, per esempio per il senso di solitudine evidenziata dai numerosi soli...
JC: La compagnia verrà più tardi.

John Cage

MC: Nel 1952, appunto.
JC: Sì, un po’ prima del 1952. Merce ha lavorato con altri gruppi, composti di poche persone, messi assieme per il periodo di tempo necessario per preparare una coreografia; ma era comunque lavoro di gruppo, per esempio in Sixteen Dances for a Soloist and Company of Three o in The Seasons.

MC: Appunto in Sixteen Dances Cunningham inizia ad adoperare le chance procedures che mi sembrano il filo conduttore della seconda fase, dal 1952, inizio della Cunningham Dance Company, al 1964, fine del tour mondiale...
JC: Fino al parziale scioglimento e ricostituzione della compagnia.

MC: Mi sembra che le chance operations siano state la spina dorsale di questo periodo della vostra produzione.
JC: Lo sono tuttora.

MC: Certo; quello che volevo evidenziare è il diverso approccio nella prassi, che determina la presenza di Rauschenberg, fino al suo abbandono e al subentrare di Jasper...
JC: Johns, sì certo.

MC: Mi sembrano molto indicative le parole di Carolyn Brown, nel libro di James Klosty su Cunningham, sui traumi che derivarono da tutto ciò.
JC: Fu un momento difficile; conosco quel libro, è molto bello.

MC: È una grossa fonte di notizie su Cunningham; è molto meno facile trovare notizie su di lui, in Italia, che non sul tuo conto.
JC: È un vero peccato.

John Cage

MC: Lavori sempre con Cunningham?
JC: Non giro più con loro, ma continuo a scrivere musica per loro. L'ultima loro performance, in settembre, aveva un mio pezzo, Inlets, il corpo dell'acqua, ed è un corpo pieno d'acqua (ridendo).

(interruzione di alcune persone, fra le quali ricordo Valeria Magli, che salutano Cage prima di andarsene a casa)

MC: Cosa pensi della possibilità di utilizzare lo spazio del teatro musicale come uno spazio vitale per la rivoluzione, nelle arti, nella vita collettiva, uno spazio vuoto nel quale condensare una moltitudine di segni, di possibilità; credo sia uno degli spazi più adatti, nel concreto, per pensare-fare la rivoluzione...
JC: Credo che sia un'idea meravigliosa, ho capito cosa intendi, tu intendi uno spazio che oltre a poter contenere movimento e suono, possa contenere anche altre cose, senza discriminazione, senza preconcetti, senza limiti... Sono d’accordo.

MC: È una delle maniere di vedere la cosa...
JC: Si, sono d'accordo, questo è il principio del teatro, perchè il significato del teatro è illimitato, così la nozione che tutto si svolge contemporaneamente, insieme, non è solo teatrale, ma anche religiosa. Intendendo religione nel senso di complessità del creato. È in parte la situazione creatasi al concerto di stasera, la gente aveva feeling stasera, c'erano cose strane, ma andavano bene, gli opposti coincidevano. (Nota 1)

MC: Penso fosse una tipica situazione di indeterminazione, perchè...
JC: Sì. (ridendo)

MC: ...tu non avevi nessuna possibilità di...
JC: ...controllo...

MC: Sì, ed era chiaro a tutti, e così nessuno poteva speculare su questo, credo che il feeling di questa sera fosse il rischio, il feeling dell'indeterminazione e credo sia stata una esperienza interessante per me, ma anche per te.
JC: Sì, certo (ridendo rumorosamente).

(interruzione dovuta ad una brevissima intervista per un giornalista della Rai, la cui unica preoccupazione era quella di scoprire, senza darlo a vedere, se Cage aveva origini ebree).

John Cage

MC: Lavori ancora con David Tudor?
JC: No, David sta dedicandosi alla musica elettronica, mentre io mi occupo, ora, di musica per violino. Siamo sempre amici, ma lui sta seguendo il proprio lavoro, e non suona più musica per pianoforte. Darà però due concerti, il 21 e il 22 dicembre, a New York, di musica mia.

MC: Mi sembra interessante notare, nella tua produzione, il ritorno alla musica per voce, negli anni settanta, dopo che la stessa era stata abbandonata alla fine degli anni trenta, salvo sporadiche occasioni. Potrebbe essere una chiave di lettura...
JC: Sì, sì.

MC: È un ritorno allo strumento primario.
JC: Ora sto andando verso il violino.

MC: Tu suoni il violino ?
JC: No, è un mistero assoluto, per me (ridendo).

MC: Che importanza credi abbia la tecnica?
JC: Che genere di tecnica?

MC: Credi sia importante per un musicista avere una tecnica?
JC: Intendi per comporre o per eseguire?

John Cage

MC: Per l'esecuzione, o meglio per l'esecuzione che sia al tempo stesso composizione, per l'improvvisazione cioè.
JC: Credo che la tecnica sia molto importante. È importante averla e qualche volta è importante non averla. Quando tu la possiedi, prendi per esempio Demetrio (Nota 2), è un grande cantante, ha un grosso controllo delle corde vocali, le conosce molto meglio di quanto io le conosca, e c'è un'altra cantante, veramente eccezionale, che sta esplorando le possibilità della voce, Joan La Barbara. Cathy Berberian stessa non ha un controllo così completo quanto questi due cantanti. Ma anch'io sto esplorando la voce, ma senza possedere la tecnica.

MC: Credo sia il modo più interessante di esplorare la voce, e qualsiasi altro strumento.
JC: Possiamo ottenere dei risultati, delle spiegazioni, in entrambi i modi.

MC: Credo che sia importante cominciare a pensare in termini di first-time-musicians, musicisti al primo approccio con lo strumento.
JC: Sarebbe molto interessante.

MC: Penso specialmente ad un contesto di teatro musicale, è una delle possibilità che questo spazio può offrire.
JC: Certo, tutto ciò è molto interessante, molto giusto... Stai scrivendo un libro?

MC: No, sto solo scrivendo la mia tesi di laurea...
JC: Hai proprio una bella mente. Come intendi sviluppare queste tue intuizioni?

MC: Non lo so, la situazione sociale e politica in questo paese è davvero complicata.
JC: Quando la situazione sociale è negativa, gli individui diventano migliori (grande risata).

(a questo punto Cage si è interessato del mio lavoro, con estrema gentilezza, dilungandosi sui problemi della situazione del lavoro nel campo delle arti e così via, per una decina di minuti. Cage è stato così premuroso da arrivare a rivolgere spontaneamente al promoter Gianni Sassi una sorta di raccomandazione, chiedendogli ad alta voce di aiutarmi a trovare un lavoro nell’ambito delle iniziative artistiche che il boss della Cramps portava avanti all’epoca)

MC: E cosa mi dici di Erik Satie, oggi?
JC: JC: Je l'aime. Hanno appena pubblicato alcuni suoi scritti, in Francia, raccolti da Ornella Volta; il libro si chiama Ecrits, è bellissimo, è stato pubblicato dalle Edizioni Chant Libre.


(ancora interruzioni, persone che salutano e se ne vanno; stoppo il registratore e continuo a chiacchierare con Cage e con le altre persone a portata di voce. Con Cage parlo dell'intervista concessa a Michael Zwerin, nella quale si affronta il tema della musica jazzistica, e scopro che Cage è vagamente più aperto rispetto alle nuove posizioni della musica afroamericana (è lui che è cambiato, non questa). Mi dice di essere amico di Anthony Braxton e altri musicisti dell'entourage chicagoano, mi racconta un curioso episodio con l'Art Ensemble of Chicago, riportato, mi dice Walter Marchetti, felice responsabile della traduzione, nel libro Per gli uccelli, che al momento non è ancora uscito. Uscirà a gennaio '78, ed è un ottimo strumento per investigare l'esperienza Cage. Alle due di notte la chiacchierata ha termine con i saluti di rito).



(1) Il concerto al Lirico ha vissuto momenti di notevole turbolenza, con persone che hanno occupato il palco, per disturbare l'azione di Cage, al quale sono stati tolti gli occhiali, è stata spenta la luce e così via. Il tutto a carico completo degli organizzatori che avevano improntato una promozione tipicamente poppistica (da musica pop, cioè) per attirare pubblico.

(2) Riferito a Demetrio Stratos, presente all'intervista, anche se ad un altro tavolo, con il resto degli organizzatori.