Simplicity and Chaos
(Perugia, 1992)
(Questa intervista è stata pubblicata sul sito Katazen. Traduzione in italiano di Caterina Fitzgerald)
Domanda: Ultimamente la stampa si è occupata di uno scienziato francese che ha scritto un libro sul caos e la casualità, nel quale asserisce che le regole matematiche e fisiche sono basate sulla casualità e il caos. Lei, come artista, mi sembra che abbia sempre basato il suo lavoro su questi concetti. Cosa ne pensa?
JC: Si tratta ovviamente di un'idea che è nell'aria. Una delle cose che più mi ha influenzato è stato il lavoro di Ananda K. Coomaraswamy, poichè ha suscitato il mio interesse per la scienza e la fisica.
D: Era uno scienziato?
JC: No, è stato un filosofo. Era sia irlandese che indiano, un esempio vivente di un accostamento tra l'oriente e l'occidente. Deve capire che negli anni quaranta si pensava che un occidentale, come è accaduto a me, non avesse alcun diritto ad interessarsi alla filosofia orientale; l'oriente era per gli orientali e l'occidente per gli occidentali, ed io ero obbligato ad essere un'occidentale. Ma quest'uomo, Ananda Coomaraswamy, avendo una madre occidentale e un padre indiano, personificava di fatto le due culture. Nel suo libro La Trasfigurazione della Natura nell'Arte affermava che la responsabilità dell'artista è quella di imitare la natura ne suo modo di operare. Ci è familiare il concetto di un'arte che assomigli alla natura, ed il fatto che l'arte cambia durante la sua storia. La domanda da porre è: cosa produce questi cambiamenti?
Una risposta che possiamo dare a noi stessi, se non agli altri, è che l'arte cambia perchè cambia il nostro concetto sul modo in cui opera la natura. Per questo mi interessa, il modo in cui opera la natura, non come scienziato ma come compositore. Ed è questo che mi ha convinto della necessità delle operazioni casuali; se io usassi la musica per esprimere me stesso, la cosa sarebbe in relazione, per esempio, con i miei sentimenti, ma non con la nostra interpretazione del modo in cui opera la natura.
Negli anni quaranta credo che esistesse già il concetto dell'indeterminatezza, ma certo non vi era l'interesse che c'è oggi per il caos. Io sono venuto a conoscenza del problema attraverso la filosofia orientale. In Cina, in particolare, il caos non è un nemico, anzi è un amico.
C'è una storia nell'opera di Chuang Tzu che racconta di uno dei Venti che va da Caos e gli dice: Il mondo è in una situazione rovinosa, cosa posso fare per migliorarlo?
. Caos mostrando nessuna attenzione, gli saltella intorno come un uccellino. Il vento gli fa la domanda una seconda volta, e non ottiene nessuna risposta. Come spesso succede nelle fiabe, la domanda va ripetuta tre volte. Alla terza volta, Caos smette di saltellare e risponde: Peggiorerai semplicemente le cose
. È per questo che ho intitolato il mio diario Come migliorerai il mondo
e poi tra parentesi, (Peggiorerai semplicemente le cose
).
Questi sono i pensieri e le preoccupazioni che ho avuto, sia nei miei scritti che nelle mie composizioni. Ho cercato di trovare una flessibilità che mi permettesse di mettere qualcosa liberamente nello spazio invece che su un punto particolare. Quando parlo di punto o spazio mi riferisco al tempo. Per questa ragione lavoro con le parentesi temporali. Nel concerto di ieri sera il violoncellista aveva il privilegio di decidere quando eseguire ogni suono; aveva il suo orologio e la sua musica, così sapeva quale periodo poteva iniziare e quando avrebbe potuto finire. Sapeva anche quando avrebbe iniziato il prossimo suono. Tra un suono e l'altro c'era questa parentesi temporale con quest'altra, e quella successiva sovrapposta a questa, per cui si ha una serie di parentesi temporali sovrapposte. Questa pagina è un esempio di IC, musica composta sul computer.
D: Che cos'è IC?
JC: IC è un programma per computer che dà una serie di numeri determinato casualmente tra l'1 e il 12. C'è un'altro programma che si chiama TIC, che sarebbe il tempo in relazione all I-Ching, cioè la casualità. TIC e IC e altri programmi con le parentesi temporali, sono stati elaborati per me da Andrew Culver. Con il computer ho la possibilità di lavorare con il numero di parentesi temporali che desidero. Devo dire che l'interesse che c'è oggi per il caos mi conforta molto. Dimostra qualche tipo di relazione con il modo in cui opera la natura.
Credo che uno dei fattori che cambia il modo in cui si produce arte, si fa musica etc. è l'aumento della popolazione mondiale. Basta pensare che il numero di persone sulla terra nel 1949 equivaleva al numero di persone vissute sin dall'inizio della storia dell'uomo e che dal 1949 a oggi la popolazione si è raddoppiata e continua ad aumentare non gradualmente ma geometricamente, per cui adesso viviamo l'esperienza della sovrappopolazione. Questa realtà determina la natura dei nostri problemi sociali e influenza il nostro comportamento personale. Non sappiamo ancora come comportarci. Viviamo in un mondo dove la differenza tra i ricchi e i poveri è l'argomento della stampa, non in termini individuali ma in generale. C'è un enorme numero di persone che non hanno il necessario. Il risultato è che persone come il presidente Bush non hanno la minima idea di come comportarsi. Per esempio, Bush non capisce la natura dei disordini a Los Angeles.
D: Parla della rivolta?
JC: Queste rivolte dei poveri continueranno, devono continuare, finchè qualcosa sarà fatto per aiutarli. La nostra politica, negli Stati Uniti, non li aiuta. Dobbiamo cambiare il modo in cui la società opera, cosicchè il mondo intero possa funzionare meglio. Potrei continuare a modo mio, ma forse è meglio se mi vengono poste delle domande specifiche così che possa parlare dei miei specifici interessi.
D: Mi pare un po' strano parlare di politica e di regole quando si parlava di caos e di casualità, non c'è contraddizione?
JC: Si.
D: Sarebbe la stessa cosa se si lasciasse che il caos cresca, senza imporre una qualsiasi regola?
JC: Avrebbe senz'altro un'effetto sul nostro comportamento nelle arti.
D: Cosa? Porre delle regole?
JC: No, la coscienza della situazione in cui viviamo e la sua natura caotica, per cui si abbandonerebbe prima di tutto la natura-oggetto del nostro lavoro. Questo senso di contraddizione in cui ci troviamo cambierà il carattere delle nostre arti. Nel mio caso, ho cominciato con l'abbandonare l'idea dell'inizio, della parte centrale e della fine e abbandonando qualsiasi relazione logica delle parti.
Nelle mie prime composizioni, i pezzi avevano lo stesso numero che la radice quadrata. Per esempio, otto per otto fa sessantaquattro, e io posso dividere ogni otto nello stesso modo in cui dividevo gli otto ottavi. Questo mi sembrava un modo convincente per dividere il tempo, convincente quanto un cristallo. Ma adesso sono andato dall'oggetto al processo. Il processo in cui sono coinvolto adesso è quello che ho già descritto, cioè quello delle parentesi temporali e delle operazioni casuali. Quello che sto suggerendo, è che questo tipo di libertà, la fessibilità data appunto dalle parentesi temporali, potrebbe produrre una migliore comprensione di come opera la natura, un migliore modello per le relazioni sociali.
D: L'uomo è la natura.
JC: Troppo spesso l'uomo è un uomo senza nessuna natura.
D: Conosce il filosofo indiano Dane Rudyar?
JC: Ho il suo libro e quando ero giovane ammiravo molto la sua musica, una musica con un'armonia molto poderosa, grande, pesante. Non come Satie. Era molto massiccia, una specie di incrocio tra, come posso dire, Scriabin e Wagner. Senza la trasparenza e semplicità di Satie. A me piacerebbe... ma questa è una mia inclinazione personale, non ha importanza.
D: Cioè?
JC: Mi piacerebbe avere la semplicità e il caos.
D: Lei crede che sia possibile trasmettere la conoscenza, trasmetterla da persona a persona?
JC: Ho i miei dubbi sulla comunicazione. Spesso una domanda o un'affermazione nel trasmettersi da una persona all'altra cambia completamente.
D: Nel caos in cui viviamo la comunicazione potrebbe essere una soluzione. Come si può risolvere questo problema, come si fa se tutti sono sordi e non ascoltano nessuno, e tutti fanno dichiarazioni che non riescono a comunicare.
JC: Ancora non abbiamo scoperto il modo giusto di comportarci. L'atteggiamento che funzionerà sarà caratterizzato dall'intelligenza, dall'umanità e dal rispetto per la natura; non solo rispetto, ma comprensione e cooperazione con il modo in cui opera la natura. Bisogna, in altre parole, pensare al mondo in cui viviamo come un posto non da distruggere ma con cui collaborare. Abbiamo distrutto già così tanto... ma c'è speranza.
Un aiuto potrà venire dalla tecnologia molecolare. I robots molecolari potranno fare molto per produrre ciò di cui abbiamo bisogno. Il materiale usato da questi robots saranno i nostri rifiuti. L'inquinamento dopotutto è composto dagli stessi elementi di qualunque altra cosa, cioè idrogeno, ossigeno e carbonio. Per cui, invece che essere distrutti dall'inquinamento, questa microtecnologia fornisce un modo intelligente di usare l'inquinamento per fare due cose: produrre quello che ci necessita e allo stesso tempo ripulire il pasticcio che abbiamo prodotto.
D: Lei vorrebbe che le cose cambiassero, ma allo stesso tempo è fatalista, accetta le cose come stanno.
JC: Cos'altro posso fare? Cosa vuole che faccia?
D: Lei ha dato due soluzioni, una è un'involuzione e l'altra è un'evoluzione, deve scegliere.
JC: Tra cosa e cosa?
D: Tra l'involuzione e l'evoluzione, le parentesi temporali sono involutive.
JC: Sono cosa?
D: Quando lei lavora con le parentesi temporali, divide il tempo e questa è un'involuzione, per cui le parentesi temporali non...
JC: Non aiuteranno?
D: È un'involuzione.
JC: Cosa intende?
D: Il tempo per lei non è un tempo fisico ma un tempo concettuale.
JC: È fisico. Quello che abbiamo nella musica convenzionale è un punto nel tempo.
D: Un punto fisico?
JC: Sì è un punto fisico. Allora abbiamo il problema che quando cominciamo qualcosa dobbiamo cominciare tutti insieme per cui bisogna avere un direttore. Con le parentesi temporali si può scrivere per un'intera orchestra di ottanta o cento persone e non avere bisogno di un direttore. Possiamo immaginare una società senza presidente, credo che questo sia molto importante. E la ragione è nel muoversi dal concetto del punto a quello dello spazio lo si può usare in tanti modi quante sono le persone. Non crede?
Facendo uso delle parentesi temporali è possibile comporre un rigo di musica e avere un'intera orchestra di cento musicisti che suonano dallo stesso rigo. Questo non è difficile, è semplice, ma ne risultano tanti suoni diversi, che possono essere lunghi o corti e possono avere qualunque colore il musicista desideri etc. Ci può essere un movimento verso... ci può essere anche un rifiuto di accordare... Ci può essere così un'armonia delle differenze della stessa cosa.
D: Della stessa cosa?
JC: Cioè da un solo rigo. Le posso indicare solo la musica di Giacinto Scelsi, che ha una enorme varietà e ricchezza nel singolo suono. Credo che questo tipo di comportamento nell'arte può esserci d'aiuto nella serie di contraddizioni in cui viviamo oggi. Per cui si può trovare, se vuole, una relazione tra caos e ricchezza.
D: Cosa intende per ricchezza?
JC: Se tutti vivono, come dire, in unisono, allora ciascuno può vivere a modo suo invece che essere forzato a convergere su di un punto. Qualcosa del genere.
D: Prima parlava delle parentesi temporali, e del fatto che le permettono di non avere un direttore. Ma all'interno della parentesi temporale c'è un inizio e una fine, e di parentesi stesse ce ne devono essere un numero specifico. E questo naturalmente lo decide lei.
JC: È chiaro. Io sono il compositore.
D: A che punto cominciare, dove finire e il numero di parentesi temporali sono decisioni basate sulla casualità?
JC: Quando dice casualità intende caso?
D: Caso.
JC: Queste sono domande che mi faccio ogni volta che compongo un nuovo pezzo. E decido. C'è anche una cosa comica... mettiamo che si faccia a meno di un direttore, come faccio io, come fanno i musicisti quando devono iniziare. La soluzione per il momento è l'uso dell'orologio-video.
D: L'orologio-video?
JC: Sì. Gli orologi-video devono essere messi, per esempio nel caso che ci siano cento musicisti nell'orchestra, cosicchè tutti i musicisti riescano a vederne uno. E se si hanno tre parentesi temporali sovrapposte, suonate allo stesso tempo, allora bisogna avere tre orologi, che si avviano tutti in tempi diversi. Io mi occupo di questo tipo di pensiero. Una volta che l'orologio si mette in movimento, ogni musicista diventa un'individuo. Una persona deve però dare il via all'orologio. Come si decide chi lo farà? Mi sembra che la gente pensa ancora in termini democratici. In realtà non importa chi avvia l'orologio perchè una volta che è iniziato il movimento ciascuno è sè stesso. Il privilegio di avviare l'orologio non è importante. L'unica ragione per cui riteniamo che sia importante sta nel fatto che la nostra idea del comportamento viene dal passato. Pensiamo che sia più importante essere presidente che essere un cittadino. Ma ci dobbiamo muovere verso una direzione intelligente che consente di coinvolgere più persone e dare a ciascuno la possibilità di vivere nel suo proprio centro, e non nel centro, per esempio, del presidente. Tutti dovremmo essere noi stessi. Naturalmente sto parlando di anarchia. Cioè del convincimento che ogni persona può essere il proprio centro.
D: Ho due domande. La prima è: che cosa crede sarà il futuro artistico in un'Europa senza muri? E la seconda è: come potrebbe descriversi con un suono? Quale suono sceglierebbe?
JC: Io i suoni li scelgo tramite le operazioni casuali. Non ho mai sentito un suono che non mi fosse gradito. L'unico problema con il suono è la musica. In particolare se è la musica del tuo vicino di casa. La mia musica sono i suoni dell'ambiente circostante.
D: Dell'ambiente?
JC: Sì, dei dintorni. Per esempio, io vivo sulla Sixth Avenue a New York, dove il traffico scorre in continuazione, per cui sento sempre tantissimi suoni.
D: E il futuro dell'arte in Europa?
JC: Ci sarà, come ben sappiamo, un numero sempre più grande di persone. Ci saranno sempre più tipi di musica. E aumenterà il numero di modi di godere della musica o usarla. La quantità di musica a New York oggi e il numero di posti dove la gente va ad ascoltarla è straordinario. Quando io ero giovane, i tipi di musica e i posti dove si andava ad ascoltarla erano pochi. Adesso ce ne sono tanti. E in diverse, come dire, situazioni. Sarebbe possibilissimo, per esempio usare una lavanderia automatica.
D: Come?
JC: Una lavanderia automatica come sala da concerto. La gente deve stare comunque lì ad aspettare, tanto vale che ascolti qualcosa.
D: Nel 1979 lei ha lavorato su di un progetto per Ivrea, in cui si sarebbero messi dei microfoni, sulla montagna di Montestella, per cui tutti quelli che passavano producevano dei suoni, sopratutto i bambini. Si è sentito dire che è stato annullato, crede che avrà l'opportunità di lavorarci ancora, di portarlo a termine?
JC: Di rifarlo? Il progetto presentava un'acustica molto particolare. La straordinaria natura dell'acustica consisteva nel fatto che il suono del traffico, così presente nel mondo d'oggi, si udiva a distanza. Ma in cima a quel monte dal quale si intravedevano le Alpi, non solo si sentiva il traffico a distanza, ma si riusciva a udire un insetto che volava. Io ho avuto l'idea di amplificare gli alberi e gli arbusti in modo tale che se un bambino avesse toccato una pianta avrebbe udito il risultato dell'aver toccato una pianta.
D: Avrebbe cioè messo dei microfoni negli arbusti?
JC: Si sarebbe potuto fare. Se poi il sistema elettronico fosse stato spento, si sarebbero potuto udire solo i suoni dell'ambiente.
D: Una televisione?
JC: Una compagnia di computer?
D: Olivetti?
JC: Sì, Olivetti. Purtroppo il nome del rappresentante della compagnia mi sfugge in questo momento. Tredici, o qualcosa del genere, era molto interessato a questo progetto. In ogni caso è stato trasferito in un altro dipartimento della Olivetti e la persona che ha preso il suo posto non aveva grande interesse e il progetto è stato abbandonato. Potrebbe ancora essere fatto.
Q: Come? Non dipende da lei.
JC: Per funzionare richiederebbe una tecnologia piuttosto sofisticata. Ci vorrebbe una compagnia che ha interesse a sponsorizzarlo. Dovrebbe avere quell'acustica, che è molto rara. Un altro posto che ho sentito dove si potrebbe fare è Bourges, ma non c'è uno sponsor.
Q: Elliot Carter dice, in un modo un po' snob, per dare qualcosa da fare ai musicisti. Lei perchè scrive musica? A cosa serve la musica?
JC: Potrei rispondere in così tanti modi... direi che la prima ragione è che amo la musica. O prima ancora, amo il suono. Una volta accettato questo, trovo che con l'andare del tempo, più invecchio, più le composizioni mi vengono richieste. Ci sono solo due persone che mi possono fare scrivere musica. La prima è qualcun'altro e la seconda sono io. Io personalmente, vivendo nella Sixth Avenue, non ho bisogno di musica: sento più suoni di quanti ne abbia bisogno. Ma la posta arriva tutti i giorni, arrivano i fax, non ho una segreteria telefonica. Devo tenere una lista delle richieste che mi vengono fatte. Adesso ho finito di comporre quello che mi è stato richiesto fino a febbraio.
Q: Vuole dire che ha una lista di composizioni da fare per febbraio?
JC: Ne avevo una, ma si sta già allungando... ed il mio copista sta rimanendo indietro.
Q: Il suo copista?
JC: Paul Sadowsky, che mi trascrive la musica. Ha una pila di coposizioni già terminate ancora da copiare.
D: Ed è rimasto indietro?
JC: Sì, è rimasto indietro di tre composizioni. Adesso c'è un maggior numero di compositori: è uno degli effetti della sovrappopolazione. Io scrivo più velocemente di quanto lui riesca a copiare. Io compongo, voglio dire, perchè mi vengono richiesti dei pezzi di musica. È anche un mio interesse, naturalmene, ma non ho, per esempio, una collezione di tutti i dischi con la mia musica.
D: Nella conferenza di Darmstadt nel 1959, Luigi Nono ha risposto alla sua domanda: I suoni sono suoni o sono Webern?
, dicendo: Gli uomini sono uomini, o sono piedi, mani e stomaci?
. Che risposta può dare?
JC: Non occorre risposta. La storia della mia collaborazione con Nono è lunga, l'ultima volta che lo vidi era poco prima che morisse, a San Pietroburgo. Ho sentito una sua composizione molto bella. A quel tempo, se posso dirlo, era un pezzo di musica a cui mi sentivo molto legato.
D: Il titolo qual'era?
JC: Era il titolo di una poesia spagnola.
D: Caminantes?
JC: Sì, quella. Di che cosa parlava? Di un viaggio, la strada...
D: La poesia?
JC: Sì, la poesia. In ogni caso mi sento molto vicino a quella musica, e credo che la musica che sto scrivendo con le parentesi temporali sia molto vicina a quella di Nono.
D: Ancora una domanda, una domanda stupida. So che lei giocava a scacchi con Duchamp. Vorrei sapere con chi altro le piacerebbe giocare a scacchi.
JC: Giocavo non tanto con Marcel Duchamp ma con sua moglie Teeny. Noi sedevamo da una parte nella stanza e lui dall'altra, di solito fumando un sigaro. Ogni tanto veniva a vedere come stava andando la partita e a segnalarci gli errori che avevamo fatto. Era un buon giocatore di scacchi, ma mentre era vivo mi interessava più lui che come giocava. Ero interessato a lui ma non come una persona a cui fare delle domande. Non volevo fargli delle domande, volevo semplicemente essergli vicino. Ogni tanto ci sedevamo insieme per conversare, come diceva lui, ma in realtà non ci si diceva quasi niente.
D: Ha intenzione di andare al Festival dei Due Mondi
a Spoleto?
JC: No, mi interessa quello che sta succedendo qui. Ero deciso a venire qui per ascoltare il pezzo per Miyata Mayumi. Quando lo stavo componendo lei stava seduta al tavolo mentre imparavo a scrivere per lo Shò, uno strumento bellissimo che fa un uso molto particolare delle mani. Passandole i brani a mano a mano che li scrivevo ho imparato a comporre per questo strumento. Ho cominciato con varie cose che tutti e due trovavamo poco interessanti. Alla fine ho trovato un metodo per usare le operazioni casuali che funzionava. Le operazioni casuali devono poter funzionare in qualunque circostanza, per cui bisogna sapere tutte le possibilità per usarle. E con il suo aiuto sono stato capace di farlo per lo Shò. Infine sono riuscito a scrivere la musica senza che lei mi stesse vicino. Dura poco più di due ore.